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Elements of Exo-Geology: by Dr Gualtiero La Fratta
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0-AS17-Metric-FNB2444.jpgElements of Exo-Geology: Notion and Definition55 visiteL'Eso-Geologia (detta anche Geologia Planetaria, o Astrogeologia) è la Disciplina che studia la Geologia dei Corpi Celesti extra-terrestri: i Pianeti del Sistema Solare e le loro lune, gli Asteroidi, le Comete e, quando è possibile, i Meteoriti.
Fu il grande Dr Eugene Shoemaker ad introdurre questa Disciplina nel Servizio Geologico degli Stati Uniti (USGS) e fu grazie a lui che vennero apportati dei numerosi (e validi) contributi allo studio dei crateri di impatto (Terrestri ed extra-terrestri), della Luna e di alcuni Asteroidi e Comete.
L'Eso-Geologia, nella sua veste operativa, utilizza le Tecniche della Geomorfologia e, in particolare, del Telerilevamento per studiare e caratterizzare la superficie dei Corpi Celesti.
Lo studio - prevalentemente teorico - dei loro strati più interni è invece basato su metodi Fisici o Astronomici (anche se oggi, grazie alle nuove tecnologie che sono a disposizione, è già possibile studiare la struttura e la composizione degli strati interni di alcuni Corpi Celesti - pensate, ad esempio, al Lavoro svolto per Marte dal Radar "MARSIS" il quale si trova a bordo della Sonda ESA "Mars Express").
Ciò premesso, diciamo che a cominciare da oggi, 10 Luglio 2008, agendo nel quadro delle attività Divulgative ed Istituzionali proprie dell'Associazione Lunar Explorer Italia, abbiamo deciso che proveremo - avvalendoci del prezioso contributo del nostro Socio ed Amico, il Dr Gualtiero La Fratta (Geologo) - a darVi qualche Elemento Tecnico Essenziale relativo a questa affascinante Disciplina il quale, auspicabilmente, possa permettere a coloro che ci leggono di apprendere qualcosa in più circa la Natura e la Struttura, esterna ed interna, dei Mondi che, da anni, cerchiamo di esplorare "a tavolino".
Buon Viaggio, quindi, e Grazie a TUTTI per l'essere ancora con noi!MareKromium
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EXOGEOLOGY-001.JPGLandslide53 visiteLa forma geomorfologica visibile nella foto orbitale in esame è chiamata Conoide di Deiezione o "Alluvional Fan".
Sulla Terra, questa morfologia è provocata dal deposito di sedimenti trascinati dall’acqua lungo un pendìo e quindi deposti sul fondovalle, in corrispondenza del salto di pendenza. In effetti, quando il fluido giunge alla base del rilievo, subisce una drastica riduzione di velocità sicchè l’acqua non riesce più a trasportare la stessa quantità di solido. Comincia quindi la sedimentazione di materiale a partire dalle frazioni più grossolane e sino alle più fini, che si collocheranno in posizioni più distali rispetto alla linea di flusso.
Sul nostro Pianeta una situazione analoga a quella fotografata dalla sonda orbitale, porterebbe, su una pianura così vasta, alla formazione di un conoide molto più esteso.
Su Marte, però, questo non può accadere in ragione della differente Forza di Gravità presente ed agente sulla sua superficie.
Il campo gravimetrico di Marte è pari a circa 1/3 di quello terrestre, sicchè la velocità di discesa delle acque di ruscellamento esistenti sul Pianeta Rosso risulta (evidentemente) inferiore rispetto a quella tipica e propria della Terra. Questo fatto comporta ed evidenzia un sistema dotato di minore Energia Cinetica.
La stessa capacità erosiva del ruscellamento risulta inferiore ed il sedimento giunto al piede del pendìo tenderà a depositarsi sempre nelle sue immediate vicinanze.
Un altro fattore determinante della forma di questo Conoide Marziano potrebbe dipendere dalle caratteristiche geomeccaniche del terreno sul quale esso si è creato e quindi, in definitiva, dalla sua composizione (attualmente non nota). La presenza di numerosi crateri da impatto sulla superfice del Conoide ci dimostra, quindi ed in conclusione, che il processo geomorfologico generante è ormai fermo da moltissimo tempo.MareKromium
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EXOGEOLOGY-002-A.jpgMartian and Terrestrial Permafrost: a Visual Comparison54 visitenessun commentoMareKromium
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EXOGEOLOGY-002.jpgVastitas Borealis58 visiteLa distesa raffigurata nella foto è caratterizzata dalla presenza di un suolo irregolare, ricco di dossi intramezzati da mini avvallamenti.
Sulla Terra, questo tipo di terreno viene detto Permafrost: presenta - come legante - dell'acqua ghiacciata e si estende su regioni o aree in cui dominano temperature così basse da poterlo mantenere congelato per almeno 2 anni consecutivi.
Le gobbette a geometria poligonale visibili in foto rappresentano una forma geomorfologica tipica detta "Patterned Ground". Esse si formano in seguito al congelamento dei fluidi contenuti nel regolite (nota: ---> il regolite è uno strato di materiale sciolto e di granulometria eterogenea il quale copre uno strato di roccia compatta - cd. "Roccia Madre". Il regolite è presente sulla Terra, sulla Luna e, a quanto pare, anche su Marte e su alcuni asteroidi (e, ragionevolmente, su tutti i Pianeti di "Tipo Terrestre" nonchè sulle lune dei Giganti Gassosi).
L'origine del regolite sulla Terra è attribuita alla degradazione meteorica del suolo ed all'azione (congiunta) degli organismi.
Sui corpi senza atmosfera - o con atmosfera ridotta/rarefatta - invece, il regolite si origina dalla aggregazione gravitazionale di residui derivati dall'impatto di bolidi e comete con la superficie del Corpo Celeste di riferimento. Detta aggregazione produce una superficie a strati, caratterizzati da una granulometria decrescente, dal basso verso l'alto).
In effetti, quando l’acqua congela, si ha un aumento del suo volume pari al 10% (circa) il quale è dovuto all’instaurarsi di legami “a ponte di idrogeno” tra le molecole del ghiaccio.
L’incremento volumetrico comporta uno sforzo plastico sul terreno il quale, di conseguenza, si deforma generando questo caratteristico assetto.MareKromium
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EXOGEOLOGY-003.JPGSedimentary Rocks' Outcrop in Meridiani Planum58 visiteOPPORTUNITY: SOL 749
Questo frame è importante perché mostra un’affioramento di rocce sedimentarie i cui strati presentano un assetto molto caratteristico.
Se si guardano con attenzione le aree circoscritte si noterà, infatti, che le stratificazioni non sono parallele ma confluiscono in un punto a formare delle cuspidi.
Questo tipo di Geometria Deposizionale è chiamata “cross bedding” ed è tipica, sulla Terra, di ambienti costieri dove l’azione delle correnti da moto ondoso genera patterns (---> disegni) di questo genere.
Bisogna, per correttezza di informazione, ricordare che anche l’azione del vento può provocare il cross bedding, tuttavia in questo caso si è già dimostrato - impiegando Strumenti di Analisi ulteriori (ad esempio effettuando le analisi chimico-fisiche e geologiche del sedimento e dei berries in particolare) - che l’ambiente di sedimentazione del Corpo Roccioso in questione doveva essere sommerso dalle acque.
Il cross bedding, in definitiva, conferma ulteriormente la teoria della presenza, nel passato remoto di Marte, sia di antichi laghi, sia di mari veri e propri; in una parola, parliamo della presenza dell’Idrosfera.MareKromium
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EXOGEOLOGY-004.jpgThe Valles Marineris on Mars55 visiteSe tornassimo indietro nel tempo, diciamo di un tre miliardi di anni, e osservassimo Marte con un telescopio, con ogni probabilità vedremmo un pianeta completamente diverso da come esso ci appare oggi.
Più della metà della superficie planetaria, infatti, risulterebbe occupata da un immenso Oceano: l’Oceano Boreale (Oceanus Borealis).
La presenza di questo Oceano - profondo, probabilmente, fino ai 500-1500 metri, doveva provocare perturbazioni inerziali che necessitavano di essere bilanciate, affinché la rotazione di Marte fosse coerente, costante e continua.
Sulla Terra, la presenza dell’Oceano Pacifico genera una situazione analoga a quella del passato marziano.
La condizione di "quasi-equilibrio rotazionale" è raggiunta sostanzialmente in questo modo: le masse crostali emerse a formare i continenti sono disposte in gran parte sull’emisfero opposto al Pacifico. La densità media delle rocce costituenti le terre emerse che si ergono fino a formare catene montuose e altipiani viene controbilanciata dalla somma della densità delle rocce oceaniche, più la densità della massa d’acqua ad esse sovrastante.
Lo spessore della crosta oceanica è inferiore, in effetti, allo spessore della crosta continentale e questo è dovuto al valore della densità media delle rocce oceaniche (3,00 g/cm3) la quale è maggiore della densità media delle rocce continentali (2,7 g/cm3).
Il principio che governa le quote di giacitura di questi corpi rocciosi prende il nome di "Isostasia" e riguarda fondamentalmente il galleggiamento della crosta superficiale rigida sulla sottostante porzione di mantello astenosferico, caratterizzato da un comportamento fluido-plastico. L’equilibrio del sistema, comunque, non è totalmente raggiunto ed è per questo motivo che si riscontrano anomalie rotazionali quali la "Nutazione Libera di Eulero-Chandler", che consiste in oscillazioni dell’Asse di Rotazione Terrestre con un periodo di 430 giorni ed una ampiezza di 0,1".
Se l’evaporazione dell’Idrosfera di Marte fu sufficientemente lenta, si può ragionevolmente supporre che i bilanciamenti isostatici avvennero gradualmente, attraverso milioni di anni e sfruttando - forse - una plasticità residua dei Corpi Geologici Marziani.
Se, al contrario, ciò che avvenne fu una rapida essiccazione (sulle cui cause, ad oggi, non ci è dato sapere nulla), è logico immaginare che i suddetti bilanciamenti avvennero in modo traumatico, attivando una geodinamica - per così dire - più aggressiva e caratterizzata dalla verificazione di eventi catastrofici concorrenti e/o rapidamente sequenziali (exx.: cicli di terremoti ad alta magnitudo; eventi magmatici - eruzioni - immensi dovuti alla risalita repentina verso la superficie del mantello fuso et sim.).
Qualunque sia la Verità, noi possiamo dire che questo processo potrebbe spiegare, fra le altre cose, l’esistenza di estese depressioni tettoniche come, appunto, la Valles Marineris.
Potremmo, dunque (ed alla luce di quanto scritto fin’ora), affermare che la differenza di quota presente tra un Emisfero Marziano e l’altro potrebbe essere dovuta alla verificazione di un processo simile a quello terrestre?
Ebbene la risposta è "si": è molto probabile.MareKromium
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EXOGEOLOGY-005.jpgHuge "Pseudo-Pyramidal" Surface Feature: the "D&M" Pyramid69 visiteLe piramidi e le morfologie poligonali riscontrate sulla superficie di Marte sono riconducibili, secondo la NASA, a fenomeni di erosione, per lo più eolica.
Tali forme sono riscontrabili sia a livello di detriti e singole rocce sia, nella macroscala, a rilievi od a gruppi di essi.
Oggetto delle attenzioni di Hoagland e & C. sin dalla metà degli anni ‘70, queste "Costruzioni della Natura" hanno sempre incuriosito e fatto sognare l’immaginifico dei cultori delle Scienze di Frontiera in generale e della cosiddetta Eso-Archeologia (o Eso-Archeografia) in particolare.
Se la tentazione di credere nell’artificialità di certe forme è molto grande e, per certi aspetti, ampiamente giustificabile - soprattutto per i non addetti al settore -, non si può, tuttavia, negare che le anomalie riscontrabili in molti oggetti, strutture e fenomeni marziani sono sovente idonee a causare incertezze anche nelle personalità scientifiche che sono chiamate a studiarne i dettagli.
La NASA e l’ESA, per prime, se non possono dare spiegazioni “accettabili” tacciono o occultano o mistificano - o, come è talvolta già avvenuto - entrano in palese contrasto fra loro (...alla faccia del progresso scientifico!...). In realtà, sarebbe sicuramene molto più onesto - e semplice - ammettere l’impossibilità di essere sempre in grado di dare una spiegazione che sia coerente con le attuali conoscenze del Sistema Solare, ma questa, lo sapete, è tutta un’altra storia…..
Per tornare al frame in oggetto - il quale è rappresentativo della famosa "D&M Pyramid", situata nella Regione Marziana di Cydonia Mensae (si: la stessa Regione della "Sfinge", nota anche come "Faccia di Marte") - Vi diciamo subito che la Geomorfologia Terrestre può venirci nuovamente in aiuto per cercare di comprendere - se non in toto, almeno in parte - l’origine di una forma così curiosamente regolare.
Sulla Terra, morfologie trigonali, tetraedriche o comunque piramidali sono dette “Dreikanter” e si riscontrano in regioni desertiche o periglaciali.
Il presupposto fondamentale perché si realizzino è la presenza di venti regnanti la cui direzione di avanzamento sia costante nel tempo. L’azione abrasiva delle particelle e dei clasti, quindi, scolpisce - nel corso dei milioni di anni - i fianchi di questi oggetti sino a regolarizzarne i contorni.
Su Marte potrebbe essere (tutt'ora) in atto un processo molto simile ìl quale pare coinvolgere anche i rilievi di dimensioni medio-grandi; sul nostro Pianeta, invece, i Dreikanter si producono solo su corpi rocciosi molto piccoli (da pochi cm e sino ad alcuni metri) - anche se bisogna ricordare che i fenomeni erosivi terrestri sono molto più complessi di quelli marziani!
In definitiva, la storia Geomorfologica del nostro Mondo risulta più molto varia di quella del Pianeta Rosso (almeno nel suo "stato" attuale) perché essa è influenzata direttamente dalla Geodinamica, la quale è ancora attiva in e con tutti i suoi processi geologici, e dalla Biosfera.
E se pensate a tutto quello che è stato appena detto, contestualizzandolo in maniera appropriata, non Vi sarà per nulla difficile capire il motivo per cui è MOLTO più affascinante e coinvolgente il vedere e l'interpretare questo rilievo (come altri similari, su grande, media e piccola scala) come "Opus Naturae", piuttosto che ridurlo ad una non solo (ed almeno per ora) del tutto indimostrabile, ma anche bizzarramente improbabile e sfacciatamente speculativa, "Opus Artificiosum".MareKromium
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EXOGEOLOGY-006.jpgSmall "Pseudo-Pyramidal" Surface Feature: a Martian Dreikanter60 visiteEsempio di struttura pseudo-piramidale di piccola scala: in questo frame, un boulder di forma vagamente (pseudo) piramidale - comunque poligonale - che venne fotografato dal Rover Spirit durante i suoi primi Giorni Marziani.MareKromium
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EXOGEOLOGY-007.jpgUnusually-looking fractures of the Inner Rim of Victoria77 visiteLa Geologia Marziana, al pari - in fondo - di quella Terrestre, non smette davvero mai di meravigliarci: quest’immagine ci mostra, in particolare, una frattura che insiste sulle pareti rocciose del Margine Interno (Inner Rim) del Cratere Victoria.
Se osservate l'interno della frattura, poi, qualcosa sembra non tornare ed in effetti, ad un attento esame del dettaglio, parrebbe esserci una soluzione di continuità verticale (---> una intercapedine) tra il corpo roccioso della parete esterna - l'Inner Rim - e la roccia che invece si erge posteriormente ad esso.
I lati della parete stratificata che formano la "diaclasi" (---> frattura), inoltre, non mostrano le discontinuità da cui essa è costituita e ci appaiono praticamente lisci.
Come mai?
Cosa rappresenta il (possibile) vuoto che si intuisce nell'area posteriore della parete che si erge di fronte al Rover?
Possiamo trovare una spiegazione scientifica a questo fenomeno?
Forse si, anche se - lo diciamo subito - essa non appare del tutto esaustiva.
Ad ogni modo: il Cratere Victoria è caratterizzato dalla presenza di bordi molto erosi, come è ben evidenziato dalla foto orbitale che segue.
I ripetuti crolli di materiali (forse determinati dal processo noto come "Gravity Wasting", in combinazione con l'azione, pregressa ed attuale, degli agenti atmosferici) potrebbero - nelle ere - aver fatto retrocedere il perimetro d’impatto, rendendo l’aspetto globale della depressione molto frastagliato.
Le profonde incisioni visibili nel frame in questione dovrebbero (e potrebbero) essere state scavate dal vento (e dall’acqua, in un remoto passato...) lungo delle "linee di minor resistenza" le quali possono sicuramente essere rappresentate dalle fratture dei corpi rocciosi interessati dall’evento catastrofico.
E’ noto, infatti, che l’energia sprigionata durante un impatto provoca, nell’area centrale della zona interessata, la fusione istantanea della roccia (ed, eventualmente, la formazione di pieghe e/od ondulazioni) mentre ai margini della medesima è lecito attendersi una risposta alla deformazione principale via-via sempre più rigida e caratterizzata dallo sviluppo di famiglie di faglie e diaclasi.
Un tentativo di risposta al quesito iniziale potrebbe quindi giungere dalle osservazioni di cui sopra.
Se, infatti, ammettessimo che il vento possa aver selettivamente eroso le stratificazioni esistenti sul lato del Cratere più esposto al suo battere - così mettendo in rilievo i livelli meno erodibili della roccia - sarebbe ragionevole ammettere che i bordi della frattura, essendo più riparati, possano essere rimasti sensibilmente (e quindi visivamente!) più compatti ed omogenei.
Così si spiegherebbe, quindi, l’aspetto “liscio” della roccia che costituisce i lati della diaclasi, mentre il (possibile) vuoto posteriore alla parete esterna - e cioè l'intercapedine - potrebbe essere dovuto al verificarsi di svariati crolli di materiale, anche dovuti all’alto grado di fratturazione del corpo litologico principale (diciamo una conseguenza dell'impatto che trova espressione nel medio-lungo periodo - in senso geologico, ovviamente).MareKromium
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EXOGEOLOGY-008.jpgVictoria Crater (orbital view)55 visitenessun commentoMareKromium
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EXOGEOLOGY-009.jpgCydonia Mensae Region (MULTISPECTRUM processing, from an idea of Keith Laney)112 visiteEsaminiamo la regione di Cydonia cercando di valutarne gli aspetti geologico-geomorfologici più importanti.
Quest’area era sostanzialmente una "zona di margine", in quanto ospitava l’antica linea costiera della più vasta Arabia Terra, la quale era a sua volta lambita dall’Oceanus Borealis.
Nella foto orbitale si evince chiaramente il salto topografico esistente fra le terre emerse e l’antico fondo marino e rappresentante il confine estremo di quella che doveva essere una lunghissima e frastagliata scogliera.
I rilievi corrispondenti alle numerose “anomalie” di Cydonia - tra le quali la ben nota faccia (che, tanto per ribadire, non è assolutamente un manufatto come non lo sono i rilievi accanto…viene da chiedersi: una scultura megalitica e delle piramidi in mezzo ad un oceano??? Perchè?) - rappresentano principalmente:
1) “Testimoni di erosione”, detti anche Klippen e facenti parte di una più ampia falda geologica fratturata in una miriade di oggetti più piccoli, lavorati dall’erosione marina ed eolica (ventifacts) protrattasi attraverso milioni/milardi di anni;
2) Domi: ossia rigonfiamenti superficiali della crosta dovuti alla pressione di magmi sotterranei diretti verso la superficie;
3) Pseudocrateri Vulcanici come quelli che si formano sul nostro pianeta in seguito ad eruzioni freatiche e cioè ad esplosioni di vapore d’acqua (in breve: nelle regioni a vulcanismo attivo, se l’acqua del sottosuolo viene riscaldata dal magma tende a risalire in superficie in modo violento e deflagrativo).
Osservando la foto, quindi, non posso fare a meno di pensare che l’altipiano di Arabia Terra si sia fratturato e diviso in tutti quei frammenti, durante un’evento geodinamico regionale, tipo una fase di up-warping crostale (in altre parole: un inarcamento della litosfera dovuto alla risalita di materiale fuso-plastico proveniente dal mantello).
In questo modo ed in accordo a questa - ritengo razionale - "visione", si possono spiegare non soltanto i rilievi ambigui di Cydonia ma anche le numerose famiglie di fratture e faglie ad andamento poligonale presenti ad ore 13 della foto orbitale.MareKromium
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