True Planets

5 Maggio 2007

Universi, Multiversi e Paradossi – di Paolo C. Fienga

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Ovvero: come interpretare l’Amletico “To be or not to be”

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Il percorso che conduce da Sir William Shakespeare alla Meccanica Quantistica è, anche se non sembra, davvero breve.

Essere o non essere…Già.

Chi non conosce, infatti, quel famosissimo passaggio il quale (anche se spesso viene erroneamente tradotto, nella sua parte finale, in “questo è il problema” anziché in “questo è il quesito”) esprime uno dei dubbi essenziali e più propri – riteniamo – della Condizione Umana?

Ovviamente lo conosciamo tutti.
E allora, proprio perché si tratta di una frase talmente famosa dall’essere divenuta di uso comune (se non addirittura proverbiale), proviamo a lavorarci un po’ sopra ed a porci, come faceva l’Immortale Bardo, almeno una domanda.

Essere o non essere…

Ma perché scegliere, poi?
Non si potrebbe, in fondo, “essere” e “non essere” contemporaneamente, ossìa “in un medesimo Tempo”?
La risposta, intuitiva ed istintiva, è “no”.
Essere e non essere, contemporaneamente, è un’eventualità assurda.
Impossibile.
O meglio: è un’eventualità paradossale.
Forse questo è vero, ma dato che tutta la Realtà, a mio parere, è “paradossale” (non solo da un punto di vista umano e sociale, ma anche scientifico), allora io mi permetto di intervenire su questa affascinante querelle in qualità di studioso e cultore – dilettante, ovviamente – di Scienza e Filosofia.
Ma andiamo per ordine.
Cos’è un “paradosso”?
Ebbene, con il termine “paradosso” (almeno nella sua nozione comune) si intende (non solo, ma anche), avuto riferimento ad un oggetto o ad una situazione, una “condivisione di nature le quali non sono neppure teoricamente condivisibili“.

Proviamo a spiegarci con un esempio facile-facile.

Un albero, o è…(1) un albero, o…(2) non lo è.
Non esiste un albero/non albero.
Una persona , o è… (1) viva, o…(2) non lo è. (e lasciamo stare, per favore, le facili ironie sugli “zombies” e su coloro che, in effetti, sebbene vivano…sono già morti da tempo)

Dicevamo: nel momento in cui (1) condividesse la natura di (2) – ergo (1) coesistesse con (2) – ci troveremmo davanti ad un paradosso.
Se voleste approfondire la materia partendo da un caso – teoricamente – concreto, potete provare a studiare il cosiddetto “Paradosso del Gatto” (o Paradosso di Schrödinger): un paradosso forse “crudele” – nella sua espressione –, ma azzeccato ed interessante…
Adesso però, dato che vogliamo parlare di Universo, di Spazio e di Tempo, precisiamo che l’ammissibilità dell’esistenza di Paradossi verrebbe a dipendere, a mio parere, dalla nozione di Universo, di Spazio e di Tempo che avremmo a priori deciso di adottare.
Ciò che intendo dire è che se il Tempo e lo Spazio costituiscono un qualcosa di unitario il quale si sviluppa omogeneamente attraverso la “Realtà” (formando l’Universo ed essendone nel contempo parte), allora bisognerebbe parlare di “Continuum“.
Il “Continuum” (Spazio/Temporale), almeno in linea teorica, non ammette paradossi, poiché ciò che “è stato”, “è” e “sarà” – in Natura, ergo nell’Universo, ovunque, per tutti e per sempre – esiste e rimane “cristallizzato” in una regione del Continuum stesso la quale, al pari di una sequenza di immagini e suoni che occupa una porzione di pellicola (poni “x” fotogrammi), una volta che la pellicola è stata impressionata, non è più modificabile.
Si potranno anche (trovato il modo…) vedere e rivedere i nostri “x” fotogrammi, ma NON modificarli.
Ergo quello che è stato “impresso” nel Continuum ha una sua “Natura” unica la quale, sia fisicamente, sia per definizione, “è”.
Una lacuna logica di questo approccio, tuttavia, la possiamo già trovare nella domanda: ma quando è “iniziato” il Continuum e quando “finirà”?

Ok, lasciamo stare questo aspetto della questione (non abbiamo…né il Tempo, né lo Spazio per affrontarlo compiutamente…) e cerchiamo di non complicare ulteriormente uno scenario già estremamente complesso….

Per cui: una conseguenza logica assolutamente primaria di questo approccio è nel postulato in virtù del quale il Continuum Spazio-Tempo “ esprime ed esaurisce” l’Universo che E’ e RIMANE uno ed uno solo.
Una sua (dell’Universo, intendo) versione multipla – o alternativa – NON solo non potrebbe esistere, ma non sarebbe neppure concepibile (almeno non da noi, né dalla nostra Scienza, né – soprattutto – dalla Logica che è ad essa sottesa).
Se, invece, il Tempo e lo Spazio esistessero come entità distinte e separate (e, quindi, coesistenti – in parte ed in teoria – ma NON SEMPRE E NON NECESSARIAMENTE UNITE ed INDIVISIBILI), allora l’ipotesi del Continuum cadrebbe istantaneamente e l’eventualità che i “Multiversi” (e quindi, con essi ed assieme ad essi, i Paradossi) esistano effettivamente diventerebbe accettabile.
Questa visione dell’Universo è anche conosciuta come “visione quantistica” (e/od “indeterminata“)” ed in virtù di essa si può tranquillamente asserire che tutte quelle ipotesi e situazioni che noi abbiamo inizialmente chiamato “paradossi”, in realtà, potrebbero benissimo esistere nella Realtà senza per questo costituire delle aberrazioni/distorsioni della medesima.

Pensate: gli UFO, secondo alcuni Ricercatori, sono un’espressione (talvolta) percepibile, attraverso l’uso dei (soli) nostri 5 sensi, del verificarsi di un Paradosso…
Affascinante, vero?!?…

Ma, tutto ciò detto e premesso, chi avrà ragione, alla fine?
Gli “UNI-versisti” o i “MULTI-versisti”?
La realtà, al pari dell’Universo, è e sarà sempre unica e determinata nel suo Continuum oppure è e sarà sempre Quantistica?
Forse non ci crederete, ma c’è chi si accapiglia per tentare di rispondere a questa domanda…

***

Ora, ricordando che tutto quello che Vi ho raccontato sino ad ora è solo una mia – per altro ultrastringata e personalissima – interpretazione dei miei studi e delle riflessioni che essi mi hanno ispirato – il che significa che quanto ho scritto è tanto questionabile, in termini filosofici, quanto lo è il risultato di una partita di calcio al bar… –, la mia conclusione (ovviamente interlocutoria) è che, in questo mondo (e perciò in questa – la NOSTRA – specifica realtà), sia in ordine al quesito iniziale, sia relativamente a qualsiasi altro quesito Scientifico e/o Filosofico ci si possa porre, ognuno di noi può legittimamente sostenere tutto ed il contrario di tutto restando (in ogni caso ed a condizione di essere capace di motivare le proprie asserzioni) comunque – e come minimo – “attendibile” – per poter anche giungere ad essere – addirittura – “credibile”.
Per cui il problema reale (anzi: la domanda corretta) non è e non sarà mai “essere o non essere”.
Noi siamo e non siamo sempre. Costantemente. Continuamente.
Siamo e non siamo a seconda del momento, del luogo, dell’umore, del tempo e così via.
Filosoficamente, l’Uomo è e NON è.
La domanda esatta, a mio parere, è “perché ci poniamo domande come questa e quale sarà mai lo scopo finale di tutto (Vita inclusa)”.

Ma i nostri Amici Scienziati (quelli che io chiamo, scherzosamente, “Positivi”), a fronte di un simile quesito – ed ammesso che abbiano voglia di darci retta –, penso proprio che non saprebbero neppure da che parte iniziare a rispondere…

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